Caro Kevin.
Se per gli altri l’arrivo della fiera vuol dire cibo, frittelle ed autoscontri, per me ha un solo significato: il tuo codino. Quel codino che sembrò arrivare per cambiarci la vita, in quarta elementare, con tutti quei gettoni per il calcinculo ed il taboga, accompagnato da quel sorriso ingiallito dalle scorpacciate di zucchero filato, ma che bastava a far cadere ai tuoi piedi tutte le nostre compagne di classe.

Ma così come arrivò sconvolgendoci l’esistenza, allo stesso modo se ne andò una settimana dopo, quel codino, lasciandoci come il cane di Fry in Futurama, seduti fuori ad aspettare il suo ritorno. Chissà dove sei oggi, Kevin. Chissà dove ti ha portato la giostra della vita. Chissà a quante fanciulle hai fatto girare la testa che “manco il Tagadà”. Quel tuo codino, quel tuo incredibile codino, più ambito della codina delle giostre dei bambini, quelle che tu ci sconsigliavi perché non erano “fighe” come quelle dei grandi. E quei termini che usavi solo tu, un indizio di quei termini che avremmo saputo dire a faccia tosta solo qualche anno più tardi, con quel savoir faire tipico di chi fa la quinta elementare da circa 12 anni.

Mi manchi, Kevin. Ogni anno, ai primi di gennaio, mi siedo al mio solito banco e ti aspetto, da allora, insegnando ai bambini quelle stesse parolacce che ci insegnavi tu e regalando gettoni per gli autoscontri.

Fabio Mansueto e Filippo Treccani